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L'eredità

di un prete

intellettuale

di don Filippo Nicolò - Rettore emerito

    Ho accolto con grande piacere la proposta del gruppo culturale del Seminario di dedicare il nuovo blog alla significativa figura di don Giuseppe De Luca, uomo cristiano e prete, come lo presenta una nota biografia di Giovanni Antonazzi edita dalla Morcelliana nel 1992, che ha segnato in maniera forte la riflessione culturale nella società e nella Chiesa italiana  dei decenni che hanno preparato il grande evento del Concilio Vaticano II.

Lucano di origine (Sasso di Castalda 15.09.1898), non taglierà mai le radici con questa sua terra e con la sua identità, così da scrivere, nel pieno del suo vigore di prete e di intellettuale: “Il paese dei ricordi, dove si sta, non ci si va. Io sono rimasto sempre lì, per quel che conta di me
(cfr. Don G. De Luca, Ricordi e testimonianze, a cura di M. Picchi, Brescia 1963, 341-343).

A soli undici anni si trasferisce a Ferentino per avviare la formazione al presbiterato, e dopo due anni sarà al Seminario Romano per tutto il percorso di preparazione alla vita sacerdotale e al suo apostolato che sarà vissuto interamente a Roma, fino alla sua morte, il 19.03.1962, alla vigilia dell’apertura del Concilio Vaticano II.

     La scelta operata vuole essere anche uno stimolo ad  accostarsi al notevole patrimonio culturale e spirituale, lasciato in eredità da don Giuseppe De Luca, che produce immediatamente commozione poiché fa constatare la determinazione e il dispendio di energie spirituali, intellettuali ed economiche da lui espressi per riaprire la strada allo studio serio della «storia della pietà» intesa come vera e propria comunicazione della fede (giungerà nel 1951 a dare alle stampe l’opera fondamentale della sua vita con la pubblicazione del primo volume dell’Archivio Italiano per la Storia della Pietà). A Montini aveva scritto: “Ho un mio sogno, non rubo e non comprometto: vorrei dell’amore di Dio fare una disciplina di studio, una teoria o corrente della storia, com’ è l’unica via del Paradiso.“  (Carteggio De Luca-Montini, 175); un impegno di ricerca per leggere i segni della presenza di Dio nel cuore di ogni uomo e nel cuore di ogni espressione culturale, aiutandoli a partorire quel Cristo di cui, senza saperlo, sono già gravidi in virtù di una fecondazione dello Spirito che supera ogni immaginazione e aspettativa.

     De Luca vuole, dunque, adoperarsi per un annuncio del Vangelo della cultura che faccia incontrare e dialogare la Chiesa e il mondo, evitando il chiasso, affinché sia più fruttuoso e incisivo. All’editore Minelli scrive: “Che cosa debbo dirti, mi pare che tanti nostri sogni, sognati ad occhi aperti, maturino: e si entra in quella attività «grande» che volevamo per la gloria del nome di Cristo in Italia. Non Università, non Azioni Cattoliche, non strombazzamenti; ma lavorare in silenzio a che nel seno del cattolicesimo italiano si abbia un luogo, uno solo, dove incontrarsi con uomini di dottrina vera e d’arte.“ (Carteggio De Luca-Minelli, 89). «Incontrarsi con uomini di dottrina e d’arte» sembra essere un anticipo del testo conciliare di GS 62 “Anche la letteratura e le arti sono di grande importanza per la vita della chiesa. Esse si sforzano di conoscere l’indole propria dell’uomo […] così sono in grado di elevare la vita umana, espressa in molteplici forme, secondo i tempi e i luoghi. Bisogna perciò impegnarsi affinché i cultori di quelle arti si sentano riconosciuti dalla chiesa nella loro attività, e godendo di un’ordinata libertà, stabiliscano più facili rapporti con la comunità cristiana.“

Montini lo sosterrà continuamente, lo incoraggerà nei momenti di fatica e forse di sconforto; da Sostituto della Segreteria di Stato gli notificherà la soddisfazione personale del Pontefice Pio XII per l’opera intrapresa, e da amico lo consolerà nei passaggi più delicati e difficili:

     “Sua Santità non ignora che cotesto è il metodo non solo dei suoi studi ma altresì di tutta la sua vita sacerdotale, sollecita non meno di suscitare nella cultura cattolica opere nuove e belle, pensate ed elaborate al vaglio del gusto e della critica contemporanea, quanto di avvicinare, illuminare, consolare spiriti di ogni ceto di persone, e specialmente di quelle a cui certo sapere e certa esperienza ha reso più difficile e al tempo stesso più urgente l’incontro con Cristo Salvatore e Maestro. Non può il Santo Padre non esserne consolato. […] Non  ti perdere d’animo, caro eremita della cultura ecclesiastica; cotesta non è solo la tua sorte, cioè la tua croce; è la tua missione, come quella di voce che grida nel deserto: qualcuno l’ascolterà, e sarà allora voce precorritrice.“ (Carteggio De Luca-Montini, 91.235)     

L’azione messa in atto da De Luca scaturisce dall’idea teologica che la Chiesa è stata voluta quale «segno per il mondo», significa che, in virtù della sua ontologica struttura sacramentale, come ribadito da LG 1, essa non può fare a meno di pensarsi e di comprendersi anche a partire da questo suo «essere per», cioè alla luce della relazione con il destinatario della sua opera e della sua finalità.

Alla fine della sua vita, che coincide anche con una relazione personale, sempre più intensa e d’intesa, con papa Giovanni, De Luca avverte che questo modo d’intendere il rapporto Chiesa/mondo richiede inevitabilmente un approfondimento teologico sul Mistero della Chiesa nella sua globalità, approfondimento che certamente avrà ricadute sulle modalità storiche di espressione della identità della Chiesa. L’intera faccenda rappresenta un elemento di travaglio perché mette in crisi il significativo rapporto con Ottaviani, Prefetto dell’allora  Sant’Uffizio, fatto di amicizia antica e comune visione di alcuni aspetti della realtà ecclesiale. Scendono in campo per affrontarsi due visioni di Chiesa, soprattutto in riferimento al rapporto con il mondo, ma che corrispondono a due approcci dello stesso De Luca,  come se avvertisse in sé la compresenza, da sempre, di un Ottaviani e di un Roncalli, tra i quali, per i decenni precedenti, egli aveva cercato faticosamente di stabilire un certo equilibrio, ma che ora richiedeva un’opzione fondamentale. Riportiamo la bellissima testimonianza dell’amico Ossicini che ricostruisce  le riflessioni di don Giuseppe, ormai prossimo a concludere la sua giornata terrena, dopo la visita di Ottaviani all’ospedale dell’ Isola Tiberina:

     “Vedi, Ottaviani è un serio conservatore, profondamente onesto, profondamente cristiano, profondamente devoto della Chiesa. Egli teme il concilio perché ha paura che l’inevitabile aprirsi della Chiesa verso il mondo moderno […] possa mettere in crisi non solo la curia e una certa struttura gerarchica della Chiesa, ma l’unità dottrinaria e organizzativa della Chiesa stessa. Ora, certo, egli ha torto, ma il futuro non si costruisce disancorandosi dal passato e perciò egli ha in qualche modo anche «delle ragioni», seppure non ha ragione. Il papa invece è un uomo che guarda al futuro, che non ha alcuna paura del mondo moderno, che sente che i problemi della struttura della Chiesa […] vanno affrontati con coraggio e che i rischi si debbono correre ma che, come mi ha detto più volte, c’è la Provvidenza che ci guarda le spalle. Io sono diviso, sono totalmente d’accordo con papa Giovanni, con tutto quello che dice  e prospetta, con il suo futuro, ma sono anche profondamente ancorato a quel passato che in qualche modo difende Ottaviani e perciò ho paura. Ma la mia differenza è solo nello stato d’animo, di fronte a quello che il papa pensa che si debba fare. E’ solo che io ho molto meno coraggio di lui, ma bisogna andare per la sua strada. A Ottaviani  gliel’ho detto, ci siamo abbracciati, ma abbiamo litigato per l’ultima volta. Ma, a differenza del passato, la distanza tra me e lui si è fatta decisiva.” (Ossicini, Il Colloquio con don G. De Luca, Roma 1992, 130)

     Anche oggi resta attuale e illuminante questa capacità di lettura dei «segni dei tempi» da parte di don Giuseppe De Luca, vero uomo del discernimento, perché la fede e l’«intellectus fidei» possano produrre speranza e sappiano misurare la storia secondo il metro dell’eternità. Ad ognuno di noi De Luca ricorda quanta preghiera, sacrificio e fatica nello studio richieda la progettazione di un futuro inteso come evento su cui già ora il Cristo Risorto esercita in modo pieno la sua signoria, vincendo la sempre facile e istintiva valutazione pessimistica, prodotta da un presente che sembra segnato da un apparente predominio delle tenebre. Questo è possibile nella misura in cui   cresciamo nell’ascolto attento dello Spirito santo che parla alla Chiesa e la guida attraverso i profeti, i primi a vivere nella propria carne il tremendo incontro fra la definitività di Dio e la contingenza dell’uomo, fra la sicurezza di un passato già noto e l’incertezza di un  futuro che richiede abbandono alla creatività dello Spirito, cioè fiducia nell’amore provvidente del Padre: questo ha rappresentato De Luca per la Chiesa e questo deve continuare a vivere e a comunicare ogni cristiano, valorizzando a pieno la sua funzione profetica.

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