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"È Cristo che chiama col suo grido d'angoscia"

di Egidio di Sario (seminarista I anno).


Dal 17 al 23 marzo 2018: una settimana di servizio nel Centro d'Accoglienza Speciale di Ceglie Messapica (BR): tra cucina, pulizia e animazione, i seminaristi del primo biennio presso le Discepole di Gesù Eucaristico


«Il tempo è compiuto, è ora di donarsi»

Questo il motto della settimana di servizio vissuta dai seminaristi del nostro primo biennio dal 17 al 23 marzo a Ceglie Messapica (BR). Accompagnati dal loro padre spirituale don Leonardo Verre, si sono recati nel borgo pugliese presso il C.A.S. “Villa Aurora”, un’ex scuola materna divenuta da pochi anni luogo di accoglienza e dimora temporanea di immigrati provenienti perlopiù da diverse zone dell’Africa. A gestire la struttura e animarla, suor Tiziana Sciò, che ha coordinato anche l’esperienza dei seminaristi insieme alle sue consorelle, suor Scolastica, suor Stefania e suor Anna, un piccolo gruppo di suore appartenenti all’Istituto di Vita Consacrata delle Discepole di Gesù Eucaristico, fondato nel 1923 dal Venerabile Mons. Raffaello Delle Nocche, vescovo di Tricarico. La loro spiritualità, in quanto ancorata all’Eucarestia, le spinge a farsi «pane spezzato» per gli altri: le suore Discepole spendono la loro vita nell’educare i fanciulli, accudire i malati o accogliere i rifugiati.

I seminaristi, dopo aver preparato le valigie e senza aver lasciato a casa l’entusiasmo, sono partiti consapevoli di dover offrire tutto se stessi ed assolvere ogni richiesta da parte delle suore. Dopo essersi ambientati, hanno vissuto un momento di preghiera guidato da suor Tiziana: dal vaso di alabastro di puro nardo versato sul capo di Cristo (cfr. Mc 14,1-9) al “profumo” del servizio da spandere durante la settimana, passando per l’attenzione all’essenziale e la spinta missionaria dell’Eucarestia. In seguito, è stata consegnata in maniera simbolica una chiave, ciascuna con l’invito a trovare, in quei giorni, la parola chiave che avrebbe permesso, in tal senso, di entrare a “Villa Aurora” e ad aprirsi alla relazione con l’altro. Iniziata l’avventura e divisi i compiti, i giovani in formazione hanno conosciuto i quaranta ospiti circa e si sono rimboccati le maniche. Armati di spugna e grembiule, loro compito quotidiano era quello di lavare le pentole e la cucina, luogo molto frequentato dagli ospiti del C.A.S. per la conservazione delle loro tradizioni. Nello specifico, chi si occupava di collaborare in cucina, chi di tenere puliti gli ambienti, chi faceva l’autista, chi accompagnava all’ospedale o ad altri luoghi necessari. Generalmente, le giornate erano così scandite: sveglia, colazione e lodi mattutine, attività di servizio, pulizia della cucina, pranzo con le suore, incontro pomeridiano, Santa Messa, pulizia della cucina, cena, compieta, riposo. E non sono mancate serate dedicate all’animazione, di tutti gli ospiti o dei bambini. Ad arricchire l’esperienza di carità, la visita alla casa di riposo “San Giuseppe”, dove i seminaristi hanno trascorso un pomeriggio tra canti, balli, giochi, e alla cooperativa sociale “L’ala” di Villa Castelli, dove hanno conosciuto otto adolescenti provenienti da diversi Paesi che si danno da fare tra studio e lavoro per un futuro migliore. Inoltre, non è mancata l’accoglienza della parrocchia “Maria Santissima Assunta” di Ceglie Messapica e del suo parroco, don Domenico. I seminaristi hanno partecipato alle messe domenicali, hanno animato l’adorazione eucaristica e hanno preso parte ai festeggiamenti della Beata Vergine Addolorata, la cui devozione è molto sentita dai cegliesi, che ricorreva proprio in quei giorni.

«E’ Cristo che chiama – cantava in quei giorni suor Tiziana - col suo grido d’angoscia. Ho bisogno di te!»: è stata “colonna sonora” che ha accompagnato il tempo del servizio. I seminaristi hanno fatto esperienza dell’altro, dello straniero, dello sconosciuto, del povero (non solo materialmente) che è divenuto, nello spiegarsi dei giorni, amico, “connazionale”, conoscente, ricchezza. In altre parole hanno imparato a dilatare l’animo accogliendo lo “straniero” così com’è, eliminando le barriere della diffidenza e del pregiudizio, desiderando la conoscenza delle diverse culture, tradizioni, religioni. Espressioni di una storia individuale, segnata sì da cicatrici profonde, ma aperta alla vita e al futuro, proprio grazie all’esempio delle suore Discepole, che con tanta fatica, amore e dedizione, hanno scelto di donare tutta la propria esistenza a Dio per servirLo in quegli uomini sofferenti. Questa la più bella testimonianza che si portano nel cuore!

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