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Quando il discernimento diventa uno stile di vita

di don Giuseppe Ferraiuolo.


Papa Francesco e un discernimento vocazionale che si costruisce giorno dopo giorno, nella semplicità del proprio quotidiano



In Gaudete et exultate,169, papa Francesco ricorda che il discernimento non è uno strumento straordinario ma

ci serve sempre: per essere capaci di riconoscere i tempi di Dio e la sua grazia, per non sprecare le ispirazioni del Signore, per non lasciar cadere il suo invito a crescere.

E questo non solo nell’ambito personale ma anche nell’ambito ecclesiale.

La rapidità dei processi di cambiamento e di trasformazione è la cifra principale che caratterizza le società e le culture contemporanee. La combinazione tra elevata complessità e rapido mutamento fa sì che ci troviamo in un contesto di fluidità e incertezza mai sperimentato in precedenza

(Documento preparatorio per il Sinodo dei Vescovi sui giovani)


profondamente marcato dal relativismo, dall’assenza di riferimenti normativi e da un’etica individualista (cfr. Veritatis Splendor), in cui ciascun individuo reclama il diritto di fissare in modo autonomo i criteri del bene e del male. Se questo è il nostro tempo, il Signore ci domanda di valutarlo, di interpretarlo in profondità, di cogliere le domande e il desiderio degli uomini. Questo lavoro si chiama discernimento.

Questo tema assume un ruolo centrale e nodale sin dalla creazione del mondo. In Genesi il discernimento è presentato come lo stile stesso della creazione: Dio crea distinguendo, mettendo ordine, separando la luce dalle tenebre, le acque dall’asciutto (e sarà proprio un discernimento sbagliato la causa del peccato originale). Ponendo il discernimento nelle mani dell’uomo, quindi, Dio gli attribuisce la capacità di continuare a creare, di ricreare, mettendo ordine, distinguendo bene e male, e questo primariamente a partire dal santuario di Dio che siamo noi. Per fare tutto ciò, come dice l’apostolo Paolo, è necessario rinnovare il modo di pensare, per poter discernere ciò che è buono, gradito a Dio e perfetto (cfr. Rm 12,2). Ed aggiunge san Giovanni che [è necessario] mettere alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio (1Gv 4,1).

Il discernimento non si improvvisa ma si apprende con l’esercizio e il dono dello Spirito e richiede (diversamente da quanto accade oggi) l’unità tra le dimensioni costitutive della persona, un’armonica e reciproca fecondazione tra sfera razionale e mondo affettivo, intelligenza e sensibilità, mente, cuore e spirito, orientando così la persona verso il senso globale di se stessa e della realtà. In tale prospettiva, il discernimento si apre inevitabilmente al criterio della “gradualità”.

Il discernimento è un itinerario “sinodale”, poiché la comprensione della volontà di Dio passa sempre attraverso la “porta stretta” delle mediazioni umane. È un procedere insieme, affrontando a volte terreni impervi, confronti scomodi, percorsi di svuotamento del desiderio di “contare”. Principio ordinatore della ricchezza sinodale è la gerarchia, garante di unità e di carità.

Infine, il discernimento è fatto d’ascolto:

Occorre ricordare che il discernimento orante richiede di partire da una disposizione ad ascoltare: il Signore, gli altri, la realtà stessa che sempre ci interpella in nuovi modi. Solamente chi è disposto ad ascoltare ha la libertà di rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente, alle proprie abitudini, ai propri schemi.

(Gaudete et exultate, 172)


Ascolto umile, silenzioso e attento della Parola di Dio, sotto la luce che viene dallo Spirito, nella preghiera e nel combattimento spirituale, superando le tendenze ad affermare se stessi e la pretesa di sapere già abbastanza, imponendo i propri schemi.

Voglia il cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita.

(Gaudete et exultate, 24)


Non chiederti quello che devi fare, ma quello che Dio vuole che tu faccia.

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