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Ora voi siete corpo di Cristo (prima parte)

di don Giuseppe Daraio,

Vicerettore.


Ogni uomo ha doni che sono per l'edificazione della comunità quale insieme di carismi che si uniscono a formare il corpo mistico della chiesa.




Nella serata di lunedì 10 settembre la lectio di don Antonio Savone, parroco della Cattedrale cittadina, ha avviato il cammino di ascolto e di meditazione personale e comunitaria che si svolgerà settimanalmente sul tema dell’anno e che a partire dal citato testo paolino metterà a fuoco il nostro reciproco appartenerci e, di pari passo, la necessità di camminare già ora nel solco di un ministero sacerdotale fortemente radicato in questa dimensione di servizio alla vita della comunità cristiana (Il dono della vocazione presbiterale, n. 32). Don Antonio ha esposto il tema affrontando la lectio di I Corinti 13, 12-31.

La vivacissima comunità cristiana di Corinto, sorta grazie all’impegno dell’Apostolo in una delle metropoli più importanti del mondo antico, una vera e propria città multietnica e multiculturale, era attraversata da molte divisioni e contraddizioni che vengono messe a fuoco nello sviluppo di questo scritto. Innanzitutto la divisione di una vita “spirituale” dalla testa in su, disincarnata, di cristiani che in virtù del dono delle lingue si credono angeli, perdendo di vista, per questa via, sia la dimensione corporea e sessuale costitutiva della persona, sia l’importanza della vita morale nel cammino di fede: bastava quel dono e la partecipazione all’Eucarestia per essere uomini “spirituali”, non era neppure più necessario affermare la resurrezione finale dei corpi. Paolo, invece, in questo capitolo mostra la centralità della carità nella vita cristiana, rispetto alla quale la glossolalìa occupa l’ultimo posto fra i doni dello Spirito.

Per rappresentare la Chiesa l’Apostolo impiega l’immagine del corpo in un’accezione diversa rispetto all’analogo esempio che Menenio Agrippa porta alla plebe in rivolta per giustificare la divisione in classi della società romana del V sec. a. C. e la supremazia della nobiltà romana: nella lettera paolina l’essere corpo di Cristo, al contrario, indica una realtà di mutua appartenenza e di reciproca necessità che ricompone in unità anche le differenze più grandi. In questo orizzonte si capisce che i doni dello Spirito non possono servire all’autoaffermazione all’interno di una logica di progetto personale esclusivo:

si inseriscono nella prospettiva del dono di sé in vista dell’edificazione della comunità, essendo essa, inoltre, il prolungamento di Cristo stesso, della sua opera nella storia umana.

L’essere insieme membra di questo Corpo comporta la nostra diversità e la stessa differente destinazione delle varie parti: perciò sentiamo più fortemente l’esigenza di conservare la somiglianza a Cristo che il Battesimo ci ha restituito, di conservarci corpo di Cristo, integrandoci e lasciandoci plasmare, trasformare dall’azione dello Spirito. Siamo chiamati a vivere quell’unità dei cuori che è il solo ed unico presupposto dell’unità dei gesti. Siamo chiamati ad essere segno della presenza di Cristo nella storia incarnando questa unità organica, testimoniando quella comunione distintiva che Gesù ci ha chiesto (Gv 13,35):

“Paolo parla di corpo di Cristo: è presupposto, cioè, un esplicito radicarsi in Gesù Cristo, un inserirsi in un organismo vivo qual è la persona di Gesù”.

(continua...)


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