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EUCARISTIA E STATI DI VITA DEL CRISTIANO

Di Don Filippo Nicolò

L'Eucaristia radice e forma della propria identità cristiana.




La diversificazione delle condizioni o stati di vita nel Popolo santo di Dio è sempre relazionata alla possibilità di risposta alla chiamata universale alla santità, nella quale tutti i cristiani sono coinvolti in virtù della loro partecipazione alla vita di Cristo mediante i sacramenti dell’iniziazione cristiana: Battesimo, Confermazione ed Eucaristia. In maniera eminente va richiamata la stretta connessione tra Eucaristia e diversi generi di vita cristiana, poiché nel memoriale della Pasqua di Gesù Cristo rifulge la grandezza dell’amore di Dio per noi e la scelta del proprio stato di vita nella Chiesa ha sempre una correlazione con la chiamata all’amore. “La vocazione all’amore è assoluta, non tollera alcuna eccezione, è di tale necessità che il non adempimento di questa vocazione equivale ad un assoluto andare in rovina. Ogni chiamata di Dio è un’azione dell’amore e ha per fine la santità, che è sempre una forma dell’amore. Così la chiamata riceve la sua forma dalle leggi dell’amore ed è guidata da esse.” (H.U. von Balthasar, Gli stati di vita del cristiano).

Nella misura in cui ci facciamo raggiungere dall’amore di Cristo, ci lasciamo attirare nel suo atto oblativo, sarà inevitabile mettersi in ascolto della sua parola e far risuonare in noi la domanda «Signore, che cosa vuoi che io faccia per aiutare l’amore a vincere?».

La vita sacerdotale, quella religiosa e quella laicale, in modo particolare nel sacramento del Matrimonio, sono la declinazione esistenziale del profondo desiderio di permettere all’amore di Dio Padre di mantenere vivo ed attuale nel mondo l’atto redentivo di Cristo, suo Figlio.

Poiché non ci può essere vita cristiana, cioè vita di Cristo in noi, senza l’Eucaristia, cioè senza l’azione cristificante dello Spirito del Risorto, non è possibile immaginare un genere di vita tra i battezzati che non guardi all’Eucaristia quale radice e forma della propria identità e missione. Nell’esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis Benedetto XVI afferma: “L’Eucaristia, come mistero da vivere, si offre a ciascuno di noi nella condizione in cui egli si trova, facendo diventare la sua situazione esistenziale luogo in cui vivere quotidianamente la novità cristiana. Se il Sacrificio eucaristico alimenta ed accresce in noi quanto ci è già dato nel Battesimo per il quale tutti siamo chiamati alla santità, allora questo deve emergere e mostrarsi proprio nelle situazioni o stati di vita in cui ogni cristiano si trova. Si diviene giorno per giorno culto gradito a Dio vivendo la propria vita come vocazione”. Dall’Eucaristia ogni cristiano riceve continuamente sapienza, per comprendere sempre meglio la missione a cui Dio lo chiama, e forza per realizzare quanto ha veduto, maturando una comprensione vocazionale della sua vita, vale a dire una valutazione sempre meno autoreferenziale, riuscendo a vincere sulla tentazione dell’autosufficienza narcisistica. La crescita nella comunione con Gesù Cristo, fino alla trasformazione in Colui che riceviamo, finalità ultima dell’azione dello Spirito santo nella celebrazione dell’Eucaristia, ci mette nelle condizioni di camminare sulle orme di Gesù, Figlio eletto nel quale il Padre ha posto ogni suo compiacimento. Ed è proprio del Figlio aver interpretato l’esistenza terrena come adesione permanente alla volontà del Padre, fino a giungere al pieno abbandono nell’ora della Croce, dopo aver sempre ribadito di essere venuto non per fare la sua volontà, ma la volontà di Colui che l’aveva mandato e che suo cibo era fare la volontà del Padre (cf. Gv 4,34; 6,38). Ne consegue che “credere alla chiamata significa rinunciare a voler configurare noi stessi piano, contenuto e svolgimento della nostra vita. Credere alla chiamata significa offrire e sacrificare tutto il proprio io con i suoi desideri e le sue aspirazioni, all’interno di una missione mai calcolabile con lo sguardo. Con queste parole sant’Ignazio conclude le sue considerazioni circa la scelta: «Pensi infatti ciascuno che in tutte le cose spirituali tanto progredirà quanto si staccherà dal suo amor proprio, dalla sua volontà e dal suo interesse»” (H.U. von Balthasar, Gli stati di vita del cristiano). Il riferimento costante all’Eucaristia aiuta le diverse vocazioni anche a mantenere viva la consapevolezza del primato salvifico dell’amore di Dio a cui sempre siamo debitori: noi non possiamo salvarci da soli e non possiamo essere noi i salvatori dei fratelli; è necessario che ogni vocazione si mantenga nella contemplazione dell’amore salvifico del Padre così come rifulge nella Croce di Gesù. La fedeltà alla propria vocazione e la generatività missionaria del proprio stato di vita non consistono nel collezionare successi e risultati positivi secondo la logica efficientista del mondo, ma nell’accettare che Dio, per noi uomini e per la nostra salvezza, abbia scelto di presentarsi, nell’umanità del Figlio, come amore ferito e vulnerabile così da spogliare definitivamente l’Avversario e sconfiggere per sempre la tracotanza del Male.

L’Eucaristia, celebrata e vissuta, ci ricorda continuamente che solo il Crocifisso è fonte di redenzione e santificazione,

e pertanto il nostro impegno nel mondo, nella configurazione specifica di ogni stato di vita, non è la rivendicazione di quanto noi riusciamo a fare per il Signore, ma innanzi tutto è l’annuncio di quanto Lui ha fatto per noi, aiutandoci a guardare con serenità la nostra condizione di debolezza, sapendola ormai assunta e redenta nel suo Mistero Pasquale. In questo modo sarà sempre possibile riprendersi da ogni smarrimento, rialzarsi dopo ogni caduta e infedeltà, trasformando i passaggi critici della propria storia vocazionale in opportunità di vera conversione, permettendo allo Spirito di Cristo di frantumare il nostro orgoglio e formare in noi un cuore nuovo, colmo di gratitudine poiché “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). A tal proposito è sempre di grande aiuto per la nostra vita cristiana confrontarci con l’esperienza discepolare di Simon Pietro, che entrato nella notte della prova fino a non capire più né la missione di Gesù, né la sua identità di discepolo, sperimenta la forza risanatrice dello sguardo del Maestro, sciogliendosi in pianto. “A Pietro sono cadute le squame dagli occhi; si accorge che aveva sempre rifiutato di lasciarsi amare, aveva sempre rifiutato di lasciarsi salvare pienamente da Gesù, e quindi non voleva che il Signore lo amasse del tutto. Come è difficile lasciarsi amare davvero! Vorremmo sempre che qualcosa di noi non fosse legato a riconoscenza, mentre in realtà siamo debitori di tutto perché Dio è il primo e ci salva totalmente, con amore” (C.M. Martini, Incontro al Signore Risorto).

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